mercoledì 12 ottobre 2011

Il materassaio

E’ curioso come gli eventi della vita di tutti i giorni mi riportino alla mente episodi che non sono proprio dimenticati, ma dormono in un angolo tranquillo della mia mente, pronti però a rifarsi vivi ad uno stimolo visivo, sonoro od odoroso. L’altro giorno il nonno Giuseppe, insieme al nonno di Fabrizio, sono andati a Leffe. Leffe è ungrazioso paesino della Val Seriana: lo si incontra andando alla nostra casa inmontagna, dopo Bergamo. Devono fare un “concorso di idee” per la piazza del Paese. Il concorso di idee è una specie di gara fra architetti ed ingegneri per chi presenta il miglio progetto o la migliore idea per rifare la piazza. Quelli che presentano il progetto che piace di più vincono un premio in denaro e poi la piazza si farà come loro lo hanno progettata e dirigeranno i lavori. Speriamo che il nonno vinca! Si sta impegnando molto! Allora dicevo che sono stati a Leffe e, per meglio conoscere le radici storiche del paese, sono andati a visitare il museo di storia locale che riporta vecchi attrezzi e strumenti, soprattutto per la lavorazione della seta.
Il materassaio sta cardando la lana
Facendomi vedere la bozza del disegno e spiegandomi sul perché la fontana avrà quella particolare forma che richiama uno strumento per la lavorazione della seta, mi mostra il pieghevole del museo. E allora la mia attenzione viene subito attirata dall’immagine dello sgabello cardatore della lana e, mentre il nonno cercava di spiegarmi il suo uso, che in realtà non conosceva, improvvisamente da quel cantuccio del mio cervello sono affluiti fiumi diricordi e mi sono messa io a raccontare al nonno cos’era quell’attrezzo, a cosa serviva e come si usava! Anche quell’atrezzo mi riporta alla mia infanzia, al ricordo del materassaio. Ora i materassi sono per lo più a molle, di lattice e, ancora, di lana. Una volta avere un materasso di lana era un lusso, tanto che passava di madre in figlia e il materasso di lana non si buttava via mai e faceva parte della dote della sposa! Prima, dopo la guerra, quando avevamo pochi soldi, ricordo di aver dormito su durissimi materassi di crine (di cavallo) che ogni tanto uscivano dalla fodera e ti pungevano e io mi divertivo a sfilare i lunghi e duri peli dal materasso. Tornando al materassaio, anche lui come tutti gli artigiani di allora, lavoravano per strada, di casa in casa. Passavano il giorno prima e gridavano dalle strade: “Donne, donne, belle donne! l’è arivà el materasè!”. Il “belle donne" c’era sempre, incrementava il lavoro. E chi aveva bisogno di rifare i materassi scendeva e spiegava le proprie esigenze e contrattava il prezzo.
I materassi si rifacevano di rado, proprio quando ormai erano diventati nodosi e duri. E poi il lavoro doveva essere fatto in giornata, mica si poteva restare senza materassi! Il giorno concordato (doveva esserci il sole) ci si alzava presto perché il materassaio arrivava di buon'ora. Si portavano i materassi in cortile (che bello poter entrare in quel cortile sempre vietato a noi bambini!), lui scuciva le fodere, svuotava la lana grumosa e giallastra su un grande telo che posava a terra e, mentre la moglie spariva chissà dove a lavare e asciugare le fodere (se ce lo potevamo permettere si facevano le fodere nuove, ma costavano care!). Quindi da una parte il telo con la lana grumosa, vicino lo sgabello cardatore e, davanti allo sgabello un altro telo che raccoglieva la lana cardata, soffice e bianca! Certo, non proprio bianca, ma bella chiara. Ti metterò una figura per capire come funzionava lo sgabello cardatore. Il materassaio si sedeva a cavalcioni e metteva una manciata di lana nodosa davanti al bilico pieno dichiodi che faceva dondolare avanti e indietro su un piano ricurvo, anch’esso pieno di chiodi. La lana, così si snodava, tra chiodo e chiodo, si apriva, diventava soffice e leggera e cadeva poi davanti allo sgabello formando una montagna di lana che era più del doppio di quella appena tolta al materasso. Questo lavoro, avanti e indietro, batuffolo, dopo batuffolo andava avanti fino alla fine della lana. Devo qui precisare che stiamo parlando di vera lana, cioè di pelo di pecora, così come risulta appena tagliato dalla pecora. Finito questo lavoro, che di solito portava via tutto il mattino – anche perché normalmente si rifacevano entrambi i materassi del lettone e anche qualche cuscino- nel pomeriggio arrivava la moglie con le fodere lavate o le fodere nuove, se ce lo potevamo permettere, montavano insieme un grande piano di legno su dei cavalletti e iniziavano a riempire le fodere con la lana appena cardata. La cardatura, tra l’altro serviva anche per far cadere la polvere che poteva essersi accumulata tra la lana. A fatica tutta la lana rientrava nelle fodere!
Poi, insieme, marito e moglie iniziavano a dare forma al materasso, cucendo dapprima il grosso salamotto tutto intorno al perimetro e poi impunturando il centro con dei lunghissimi aghi ricurvi. Alla fine risultava un materasso enorme, gonfio e talmente rigonfio nel mezzo che, dormendo, si scivolava sui lati. Solo dopo alcuni mesi il materasso diventava soffice al punto giusto per poi avviarsi dopo pochi anni alla sua decadenza, ma sempre pronto, grazie alle magie del materassaio, ad una nuova vita e a nuovi padroni! Non mi perdevo mai il lavoro del materassaio, che a volte mi permetteva di muovere il cardatore o giocare con i batuffoli di lana soffici! Ma soprattutto c’era lapossibilità di stare in quel cortile tanto desiderato e tanto misterioso quanto proibito a noi bambini!

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