mercoledì 2 novembre 2011

Quando giocavamo con i "tollini"


Bambini con i pattini a rotelle
Bambini che giocano a biglie
Certo è che dalla guerra ne siamo usciti come Stato perdente e, come tale, con grandi difficoltà economiche. Difficile era sbarcare il lunario con gli stipendi di mamma e papà, figurati spendere soldi per i giocattoli! Ma anche con pochi giocattoli, ho passato un’infanzia indimenticabile, viva, attiva e molto formativa. La scuola terminava alle 12,30 (solo 4 ore al giorno anche il sabato), si mangiava a casa e il pomeriggio era nostro! Alcuni bambini, molto pochi, rimanevano a scuola a pranzo e nel pomeriggio, ma era un servizio di carattere assistenziale e solo per le famiglie più bisognose e per quei bambini che non avevano nessuno che li assistesse. Noi avevamo nonna Ebe, quella di cui ho già parlato prima, che abitava con noi e che si prendeva cura di noi. Mia mamma lavorava alla Pirelli in Piazzale Loreto e tornava a casa alle 19,30 e mio padre, insegnante nella mia stessa scuola, aveva scelto di fare la scuola anche al pomeriggio. I suoi alunni e i relativi genitori erano così contenti di lui che tutti i suoi alunni rimanevano al pomeriggio. Vi racconterò un'altra volta le cose belle che il vostro bisnonno faceva a scuola con i suoi alunni, ma che prima sperimentava spesso con noi a casa. A pranzo mangiavamo con mio fratello, nonna Ebe e mio padre (la mamma rimaneva in mensa). Dopo aver fatto i compiti (mai più di una mezz’oretta) eravamo liberi. Liberi di andare a casa dei compagni, ovunque abitassero, liberi di giocare sul marciapiede (di gran lunga l’attività maggiore) oppure di avventurarci in quartieri della città sconosciuti alla ricerca di avventure. E così facevano tutti i bambini della nostra età. Ci trovavamo sul marciapiede, maschi e femmine e i giochi erano sempre nuovi e diversi. Si giocava a bandiera, si facevano le gare con i pattini a rotelle a chi faceva più velocemente il giro dell’isolato che comprendeva anche un pezzo di marciapiede non asfaltato, si giocava a "tollini o a biglie con piste immense disegnate sull’asfalto dei marciapiedi con i gessetti rubati a scuola, le bambine si dedicavano anche ai diversi girotondi, al mondo, al “Madama do rè” e altri giochi ormai dimenticati. Io ero spesso con mio fratello, di un anno e mezzo più grande di me. Ero l’unica femmina accettata dai maschietti nei giochi prettamente maschili. Ero molto competitiva e li battevo spesso a “tollini” e alle gare con le biglie o con i pattini.
Qui devo spiegarti cosa sono i tollini: sono i tappi a corona che ancora oggi si usano per tappare le bottiglie di bibita; ovviamente dovevano essere poco deformati e, a volte, si usava appesantirli con del materiale vario, creta, piombo fuso o altro; mai però troppo pesanti, perché sicuramente più precisi nel tiro, ma più lenti. Qualche bimbo lo personalizzava con l'immagine di qualche ciclista famoso, per simulare il giro d'Italia. Si tira - puoi provare - inginocchiati per terra, unendo l’indice che trattiene ad anello il pollice che, scattando, dà un colpo ben assestato al tollino. Oppure giocavamo a biglie, che una volta erano di terracotta, di un colore uniforme, marroncino o verdastro e che, se cadevano a terra, spesso si rompevano a metà. Quelle di vetro sono arrvate molto dopo, quando ero già troppo grande per giocare con le biglie. Intanto io giovcavo bene, guadagnandomi sul campo il fatto di essere accettata, unica femmina, nel gruppo dei maschi, e non trattata da “bagianna”.
Bambini che giocano con i "tollini"
Spesso veniva da noi nel pomeriggio mio nonno e lo ricordo in piedi, alto, magro, allampanato, con la sua pipa in bocca e sempre vestito con il suo abito di lana grigio scuro con il panciotto, sia d'estate che d'inverno. E, immancabilmente, il cappello. Si metteva in un angolo del marciapiede e ci osservava, silenzioso. Ogni tanto ci chiamava e dai taschini del panciorro tirava fuori qualche monetina: 2 lire, 5 lire (qualche volta potevano essere anche 10 o 20 lire) che io e mio fratello arraffavamo volentieri e che subito andavamo a spendere dal lattaio per qualche "scarpetta" (una piccola caramella di liquerizia dalle diverse forme venduta sfusa) o per un bastoncino di liquerizia. 

Alcune delle nostre scorribande erano però pericolose. Andavamo a giocare sulle macerie delle case crollate dai bombardamenti della guerra. Nel mio quartiere ce n'erano ancora alcune e ce n'era soprattutto una vicino alla parrocchia di Santa Maria alla Fontana, dove, attraverso un cunicolo tra le macerie si entrava nello scantinato. Lì avevamo trovato un tesoro: ritagli di caroncini lucidi, argentati e dorati che noi utilizzavamo per i nostri travestimenti. A volte arrivavamo a giocare anche al Villaggio dei giornalisti dove c'era una villetta semidiroccata dove si riusciva ad entrare ed esploravamo tutti i locali; ma gli amici di mio fratello si divertivano a spaventarmi facendo i fantasmi e io scappavo fuori. Altre volte siamo andati a giocare sulla massicciata della ferrovia che passa sul Viale Zara e mettevamo diverse piccole cose sulle rotaie per vedere come venivano schiacciate con il passare del treno. Qualche volta da queste scorribande tornavamo tardi e ricordo ancora qualche punizione di mio padre...

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