giovedì 1 settembre 2011

Il fabbro


Proprio sotto le finestre del nostro appartamento c'era una vecchia cascina. Ospitava alcune famiglie con numerosi bambini (li vedevo dal mio 5° piano che giocavano nei vari cortiletti della vecchia cascina). Erano famiglie emarginate (probabilmente meridionali - allora erano loro gli emarginati, non c'erano ancora gli extracomunitari) e i bambini non giocavano con noi. Non ricordo nemmeno se venissero nella nostra stessa scuola o se semplicemente andassero a scuola. Un contatto con loro però lo abbiamo avuto. Non so cosa mio fratello ed io avessimo combinato, ma un giorno mio padre, con piglio severo, ci fece raccogliere gran parte dei nostri già pochi giocattoli e, per punizione, ce li fece portare a quei bambini. Vennero tutti fuori, sul marciapede, di fronte all'ingresso e si misero ad aprire i sacchetti con incredulità e gioia. Ricordo ancora le parole di mio padre: "Bisogna sempre pensare a chi ha meno di noi". Sempre nella cascina, c'era la fucina di un fabbro. Era proprio come veniva descritta nelle favole, o come la fucina del Dio-fabbro Efesto: un antro buio, pieno di fumi e fuochi e con un continuo battito metallico sull'incudine che si susseguiva dalla mattina alla sera. Io spesso mi affacciavo alla porta e rimanevo incantata dal ritmo incrociato dei martelli che battevano sull'incudine i ferri roventi. Nella penombra si distinguevano due uomini a torso nudo, lucidi di sudore anche in pieno inverno, illuminati dal chiarore del fuoco, che maneggiavano grosse pinze, che mettevano barre di ferro rovente sul fuoco e poi lo battevano, ancora caldo e incandescente sull'incudine con grossissimi martelli. Loro mi conoscevano e mi lasciavano guardare dalla porta (unica apertura verso l'esterno) e a volte mi mostravano come forgiavano il ferro e io passavo, appoggiata a quel portone di legno, un sacco di tempo incantata e un poco ipnotizzata da quel continuo e ritmico battito. Mi ricordo che quel battito mi svegliava alla mattina durante le vacanze estive quando non si andava più a scuola e ancora non eravamo partiti per le vacanze. Dalla finesta aperta, al quinto piano, quel suono cambiava e diventava quasi una musica che accompagnava le nostre giornate. Un odore particolare, pungente ed acre, si sprigionava da quell'antro, non potrei mai scordarlo. E' strano come gli odori accompagnino sempre i miei ricordi. A volte sento un odore particolare, chiudo gli occhi e mi ritrovo, come per magia, in un luogo ed in un tempo passato.

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