E’ sabato e io lo capivo e lo percepivo ancor prima di svegliarmi del tutto, anzi, era proprio "il Sabato" che mi svegliava alle sei del mattino. Il sabato c’è mercato in piazza Lagosta, uno dei mercati storici di Milano, e, proprio sotto le nostre finestre, nella casa di fronte (una fatiscente cascina), c’era il deposito ed il carretto di uno dei tanti fruttivendoli. Sentivo prima gli zoccoli del cavallo che schioccavano impazienti, trattenuti, sull’asfalto della strada. Poi il comando gutturale dell’ortolano al suo animale per ordinargli di fermarsi. Il grande portone in legno che si apriva cigolando sui cardini, il cavallo che entrava nel locale e, dopo un poco, altri comandi e gli zoccoli più lenti, meno impazienti che tiravano il carretto. Il portone chiuso con un tonfo, il chiavistello e poi gli zoccoli che si allontanano tra il rumore della città che si sveglia. Il fischio di un treno in lontananza, alcune campane, lo scalpiccio delle persone, il loro brusio.
Il sabato era speciale: era un brusio diverso, più concitato, con più voci di donne che solo il sibilo leggero della filovia che si fermava sotto le nostre finestre riusciva a coprire. Erano i sabati delle vacanze, i sabati dopo la chiusura estiva delle scuole e prima della partenza per le vacanze, quando si dormiva con le finestre aperte per il caldo dell’estate così vicina. Erano i sabati in cui si rimaneva a letto un po’ di più, anche se il fabbro sotto casa, sempre nella cascina di fronte, con l'officina a fianco al magazzino del fruttivendolo, aveva già iniziato a battere sull’incudine. In cucina e nel bagno sentivo mia mamma che si preparava per andare al lavoro e poi usciva silenziosamente da casa per non svegliarci. Ma io allora mi alzavo, andavo alla finestra e la guardavo: seguivo con lo sguardo la sua figura snella, elegante, la sua camminata svelta sui tacchi alti per arrivare alla filovia che l’avrebbe portata alla Pirelli in Piazzale Loreto.
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Venditore di limoni |
Come era bella la mia mamma! Era sempre curata, il trucco si limitava alla cipria, un po’ di fard ed il rossetto. Le unghie sempre curate e con lo smalto sempre impeccabile. La messa in piega si faceva in casa, ma lei era bravissima e sembrava sempre appena uscita dal parrucchiere. Non eravamo ricchi, te l’ho detto già, mia mamma era impiegata. Anche se impiegata di direzione, sempre impiegata era, e mio padre era maestro. Curioso: era più alto lo stipendio della mamma di quello del papà! Ma questo non le impediva una certa ricercatezza nel vestire, una eleganza fatta di cose semplici, ma abbinate in modo giusto, sobrio, con scarpe, borse e cappellini sempre coordinati. Aveva una vera passione per le scarpe che si faceva fare su misura per un difetto ai piedi.
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Il mangiafuoco |
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Il cantastorie |
Una volta abbiamo comperato dei pesci-gatto ancora vivi: nessuno aveva il coraggio di ammazzarli e sono stati quasi una settimana nella vasca da bagno fino a quando li abbiamo liberati nel Villoresi. Poi c’erano le coloratissime bancarelle della frutta e della verdura. E di ogni frutto di stagione che si comperava ce ne offriva subito un po’. Mi ricordo d’inverno i sacchetti di arance rosse sbucciate: che meraviglia. Le vendevano sbucciate perché dalla buccia veniva estratto l’olio essenziale. E d’estate i pomodori, che la mamma ci offriva subito e che mangiavamo a morsi, come una mela: profumati, gustosi. Non ho mai più assaggiato pomodori così saporiti. Alla fine del giro c’era una sosta obbligata: la bancarella dei libri. Si posavano le borse di rete a terra e si iniziava a prendere in mano i libri (metà bancarella era dedicata ai libri per ragazzi).
Si guardava la figura di copertina che era anche l’unica del libro e si sfogliavano i quinterni di pagine ancora da tagliare, leggendo frasi qua e là, per capire se il libro poteva essere interessante. Sempre ce n'era qualcuno che ci attirava e ce ne tornavamo a casa con il nostro bottino di carta stampata da divorare nei giorni successivi. Ai bordi del mercato sulle vie che confluiscono alla piazza Lagosta e alle altre piazze limitrofe, c’erano sempre mendicanti e attori di strada. I mendicanti potevano essere dei mutilati di guerra, senza gambe che si muovevano su un carrellino di legno spingendosi con le mani che impugnavano una sorta di ceppo di legno, oppure c’era la zingara con il pappagallino che, per una monetina, sceglieva con il becco da una cassettina il tuo biglietto portafortuna.
C’era chi suonava la fisarmonica, chi il violino, chi semplicemente si sedeva per terra con il cappello rovesciato davanti. Ma spesso c’erano gli spettacolini: il mangiafuoco, omone scuro, a torso nudo anche d'inverno, con i capelli lunghi e bagnati che beveva da una bottiglia del liquido infiammabile (probabilmente petrolio, dall’odore) e poi lo spruzzava dalla bocca avvicinando una fiaccola accesa. Il risultato era incredibile, una fiammata potentissima che gli usciva dalla bocca e poi un’altra e un’altra ancora. E che dire dell’uomo che si incatenava tutto, chiudeva le catene con un lucchetto e poi si liberava? E di quelli che mangiavano manciate di vetro spezzato? E del fachiro che si coricava su una tavola piena di chiodi appuntiti? Altri giorni c’erano anche i giocolieri o gli ammaestratori di animali, scimmie, cani, serpenti. Si formavano sempre dei cerchi di persone ad ammirare questi spettacolini, con visi curiosi, ammirati. Noi bambini eravamo spinti a forza davanti a tutti e venivamo spesso coinvolti negli spettacolini. E la mamma o il papà ci allungavano da dietro la monetina da mettere nel cappello a fine rappresentazione. Mi ricordo che più di una volta sono venuti anche i cantastorie con carretti dipinti e i pupi siciliani appesi, che accompagnavano la storia dei loro paladini con illustrazioni dipinte a mano su cartelloni appesi al carretto che venivano di volta in volta cambiati con l'avanzare della storia.
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L'arrotino |
Era un mondo parallelo che si mescolava con la gente, con l’impagliatore di sedie, con l’arrotino e il suo carretto, con l’ombrellaio e lo stagnaro. Andare “sul” mercato era sempre un avvenimento che andava oltre il semplice far la spesa, voleva essere un scendere in strada e viverla con tutte le sue persone e le sue molteplici attività. Ancora oggi, ogni tanto torno al mercato di piazzale Lagosta e rifaccio a piedi il percorso dalla mia vecchia casa. Guardo per terra, rasente i muri e riconosco le inferriate delle bocche di lupo delle vecchie case e riconosco gli angoli: ecco, lì sedeva l’impagliatore di sedie, qui mendicava il mutilato di guerra e qui passeggiava avanti ed indietro la zingara con il pappagallino. Più in là, all’angolo con Via Garigliano si metteva l’arrotino. La piazza e le vie sono cambiate, sono piene di macchine e il tram, che passa ancora, ora è quello nuovo, lungo e silenzioso, non sferraglia sulle rotaie e non suona più il suo caratteristico scampanellio prima di attraversare la strada. Ogni tanto ancora si sentono i venditori richiamare le clienti con frasi scherzose, e anche le bancarelle sono ancora quasi uguali, il brusio c’è sempre, come sempre mi inebria l’odore del pesce in piazza Minniti. Ma tutto è diverso, diverse le persone, diverso lo spirito del mercato, non più vissuto come un evento, una festa, ma un frettoloso andar per bancarelle alla ricerca dell’articolo più a buon mercato. E intorno la città con il suo traffico, i suoi rumori che sovrastano quelli ancora rimasti del mercato. Io invece ci torno alla ricerca dei ricordi della mia infanzia e della rassicurante sensazione della dolce presenza di mia madre che mi guidava e si entusiasmava per un buon acquisto come per gli spettacolini della piazza e mi dava sempre qualche soldino per aiutare quel mondo di esseri umani che confidavano nella generosità di persone che a mala pena stavano poco meglio di loro.
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