lunedì 1 agosto 2011

La mia prima vacanza in tenda

Recentemente un mio amico ha scritto su Facebook una frase che mi ha fatto riflettere. C'era solo questa frase nel post: "come è bello piantare una tenda tra la gente".
Questa frase ha aperto nella mia mente un sipario chiuso da tempo e ha fatto emergere il dolcissimo e bellissimo ricordo della mia prima esperienza in tenda.
Da quando avevo 4 o 5 anni andavamo sempre in vacanza a Carenno - un piccolissimo comune sopra Calolziocorte sul Lago di Lecco -  a circa 600 metri di altitudine, per tutte le vacanze scolastiche. Mio padre maestro aveva quattro mesi di vacanza come le vacanze scolastiche mentre mia madre, impiegata alla Pirelli, aveva solo un mese di vacanze e ci raggiungeva per tutti i weekend il sabato pomeriggio.
La Lambretta 125 cc. come la nostra che in più aveva il
portapacchi posteriore.
Eravamo in una casa che difficilmente chiamerei villetta, un po' vecchiotta che prendevamo in affitto e così andò per tutte le estati fino a quando ebbi 10 anni. Ma di quelle vacanze bellissime con incredibili scoperte ogni giorno ve ne parlerò un'altra volta. Ora voglio parlarvi della mia prima esperienza in tenda.
Mio padre negli ultimi anni della guerra aveva fatto il partigiano sulle montagne Dell'Oltrepo Pavese. Gli americani paracadutavano sulle montagne dove sapevano che c'erano i partigiani parecchio materiale per far fronte al nemico tedesco. Non solo armi con munizioni, ma anche materiale diverso che poteva servire per la loro sopravvivenza come tende, sacchi a pelo, vestiti, cappelli, scarponi e tante altre cose. Un po' di queste cose se le é portate a casa nella lunga marcia forzata che fece per riportare a Milano, finalmente liberata, una colonna con circa 200 prigionieri tedeschi. Ma del ricordi che ho su quello che mio padre mi raccontava sulla sua vita da partigiano, se avrete la pazienza di leggere ancora, ne parlerò più in là.
Sta di fatto che una estate a Carenno, nell'estate del 1953 (io avevo 9 anni e mio fratello Giorgio 11), mio padre ebbe una bella pensata. Tra le cose americane che aveva riportato a casa c'era una tenda americana canadese. Ma non come le tende di adesso: erano due teli di pesante cotone mimetico di forma trapezoidale con in cima in un telo i bottoni e nell'altro delle asole. Chiudevi i bottoni, mettevi i due paletti di legno pesante alle estremità e la tenda era fatta. Non più alta di 1,2 metri, larga circa 1 metro e mezzo e non più lunga di due metri. Qualche pesante picchetto di legno intorno e la tenda era pronta. Tutto lì. Niente doppio tetto, niente cerniera e, soprattutto niente pavimento!
Aveva messo insieme una pentola di alluminio, dei piatti di alluminio (servivano come coperchio per la pentola, come padellino per fare il sugo e ovviamente come piatti per mangiarci), delle tazze di alluminio (servivano anche come bicchieri e per scaldarci il latte alla mattina) un fornelletto a benzina e altre vettovaglie essenziali e tutto rigorosamente leggero.

Tutto questo, più un po' di provviste stava appeso con una borsa a rete (di quelle che una volta si usavano per fare la spesa) al manubrio della Lambretta, Tutto il resto: tenda, coperte di lana (anche quelle paracadutate dagli americani) e qualche vestito di ricambio,  soprattutto di lana pesante, stava in un grosso sacco che, ancora oggi, credo, usino i Marines americani, ed era allacciato con elastici al portapacchi posteriore.
La cartolina che mio padre scrisse la prima sera da Tirano.
Così bardati, io seduta tra mio padre davanti e mio fratello dietro con un cuscino che copriva la separazione tra i due sedili ma soprattutto copriva la dura maniglia di sicurezza per il passeggero, partimmo per la nostra avventura. Mio padre, in modo complice, ci fece credere che tutto ciò stesse avvenendo a insaputa di mia madre, ma non posso credere che tutti i preparativi (anche se lei era lì con noi solo il sabato pomeriggio e la domenica) le potessero sfuggire. Sicuramente non approvava o, quanto meno era preoccupata per questa insolita avventura.
Il viaggio comprendeva tre notti sotto la tenda e quattro di viaggio ed era il giro dello Stelvio. Si partiva da Carenno, si scendeva a Lecco e si raggiungeva Colico (allora non c'era la superstrada) e c'era sicuramente meno traffico, ma le strade erano strette e non erano certo in buono stato. Da lì si sarebbe dovuto raggiungere Bormio (1300 metri di altitudine) dove avremmo passato la prima notte. Il giorno dopo salita al passo dello Stelvio (2770 metri), pranzo e discesa in quella regione che mio padre chiamava "tedescheria" dove avremmo cercato un luogo adatto per la seconda notte. Il giorno seguente rientro verso casa passando per la valle dell'Adige, passando ancora una notte fuori nei pressi del Lago di Garda.
Ricordo ancora le prime ore di viaggio lungo la strada che costeggia il lago di Lecco. Per me e mio fratello era la prima volta che la facevamo e il lago, circondato da alte montagne ci sembrava bellissimo. Eravamo molto eccitati e mio fratello, da dietro, mi teneva ben stretta contro mio padre e io spesso appoggiavo la mia guancia sulla sua rassicurante schiena. Da lì mi giungeva il rumore del motore affievolito dal tessuto della giacca e il ritmico scorrere dei pioppi e delle case davanti agli occhi spesso mi faceva quasi addormentare. Ma la bellezza del paesaggio, la lucentezza del lago, le vele bianche sull'azzurro dell'acqua mi riportavano presto alla realtà.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Tirano, dove abbiamo fatto una sosta e scritto una cartolina a mia madre. Ricordo come se fosse ora: seduti sui gradini del monumento davanti alla chiesa di Tirano e mio padre che scrive la cartolina e ce la fa firmare. Non ricordo nulla del pranzo che descrive, sulla cartolina, e che io avrei preparato: probabilmente ho solo messo l'acqua sul fuoco per degli spaghetti al pomodoro, primo piatto che sempre abbiamo consumato durante il nostro viaggio, seduti su un prato. Mi ricordo bene invece la prima sera. Mio padre ferma la Lambretta lungo la strada prima dell'abitato di Bormio dove, in mezzo al prato c'è una fattoria. Ci lascia vicino alla Lambretta e si incammina verso la fattoria. Poco dopo torna, scarichiamo i nostri bagagli nel prato, andiamo alla fattoria a prendere bracciate di paglia e, montata la tenda, prepariamo il letto: paglia come materasso e coperte di lana. Come cuscino un asciugamano piegato. Della cena ricordo solo un bel pezzo di formaggio preso alla fattoria con il pane che avevamo comperato nel pomeriggio.
Io e mio fratello giochiamo con la neve
al Passo dello Stelvio.
L'indomani ci svegliamo con un cielo azzurro. Siamo un po' infreddoliti, ma siamo contenti di aver dormito vestiti e di non doverci lavare. Solo una sciacquatina alla faccia nel ruscelletto vicino e i denti. L'acqua è gelata e ci sveglia del tutto e i denti sembra che ci cadano... Inizia così la lunghissima salita verso il passo dello Stelvio con i suoi infiniti tornanti. La strada, stretta e non asfaltata, si inerpica sulla ripida pendice della montagna. Spesso la Lambretta non ce la fa e io e mio fratello dobbiamo scendere e seguire mio padre di corsa. Così come sempre scendiamo nelle numerose gallerie (strette e buie) perché mio padre, sordo da un orecchio, teme di perdere l'equilibrio.
Dopo varie peripezie (motore spento che non ne voleva sapere di ripartire... ) arriviamo in quota e rimaniamo a bocca aperta nel vedere che la strada si insinua tra muri di neve. La neve ad agosto!
In breve siamo al passo e mio padre cerca un luogo riparato per cucinarci, con il fornelletto a benzina, i soliti spaghetti al pomodoro. Troviamo una piccola piazzola piana tra le rocce scoscese, non più di un metro quadrato, sotto la terrazza di un albergo e iniziamo a mettere l'acqua a bollire (ma pensandoci ora, quando mai sarebbe bollito a 2700 metri di altezza?). Dopo poco, dalla terrazza, una decina di metri sopra di noi, si affaccia un tizio che inizia a blaterare in tedesco e ci fa gesti eloquenti di andare via. Mio padre continua imperterrito e, dopo poco quel signore scende fino a noi e inizia una discussione con mio padre. La discussione si fa sempre più animata ma io non mi spavento, perché mio padre è tranquillo. Alla fine quel tizio dà un calcio al fornelletto e rovescia a terra tutto quanto e se ne va. A quel punto sì, mi sono spaventata, e mi ricordo che ho pianto, ma forse più per gli spaghetti che ho visto scendere tra le rocce... Poi mio padre mi lascia alle cure di mio fratello e va verso il Passo alla postazione dei carabinieri. Ritorna con due carabinieri che ci accompagnano all'albergo e impongono al maleducato proprietario di darci un pranzo completo. Io e mio fratello ci sediamo al sole ad un tavolo della terrazza meravigliosamente apparecchiato e veniamo serviti di cibi squisiti, mentre mio padre si rifiuta di sedersi e rimane in piedi dietro di noi a sorvegliare la scena. Era la prima volta che mangiavamo al ristorante e che ristorante, con i camerieri premurosi che ci servivano di buonissimi piatti!
Dopo pranzo giochiamo un poco sulla neve e poi iniziamo la lunga discesa verso la "tedescheria" come la chiamava mio padre.
Ricordo che alla sera ci fermiamo in un campo (questa volta senza paglia per materasso, ma solo la tela cerata) vicino ad una ferrovia. Oltre la ferrovia e il passaggio a livello c'è una grande fattoria dalla tipica architettura tedesca. Due ragazzini più o meno della nostra età si avvicinano e iniziamo a giocare, anche se non riuscivamo a capirci perché parlavano solo tedesco. Mi ricordo che mi sono molto divertita e mi incuriosiva sentire per la prima volta una lingua straniera.
Non ricordo nulla della cena, ma ricordo benissimo quello che successe la mattina al nostro risveglio e la rabbia di mio padre: davanti alla tenda qualcuno aveva fatto i suoi bisogni, ben in evidenza.
Non ricordo molto delle altre due giornate di rientro, né della terza notte. Ricordo bene invece la strada sulla Gardesana orientale. Costeggiavamo un altro lago che non avevamo mai visto. E come ad ogni tappa o sosta, mio padre ci faceva vedere la carta topografica per indicarci il percorso fatto, la nostra posizione e la strada ancora da fare.
Quante cose da raccontare alla mamma al nostro rientro! quanti ricordi indelebili nella nostra mente!
Dopo quella prima esperienza, le nostre vacanze sono sempre state fatte in campeggio. Con tende un po' più comode, prima piccole, poi, a mano a mano si arricchivano... ma anche questa è un'altra storia.

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