martedì 18 ottobre 2011

Il lavatoio

Vi ho già parlato in un altro post della mia passione per il bucato e  della mia gioia di quel natale in cui mi regalarono un piccolo mastello di legno per lavare la biancheria. Ora vi racconto come nacque questa mia passione. Da quando avevo 5 anni fino a 9, abbiamo passato le nostre vacanze a Carenno, un piccolo paesino situato a 600 metri sopra Calolzio Corte sul Lago di Lecco. Prendevamo in affitto una casa per tutti e 4 i mesi estivi - allora le vacanze scolastiche erano molto più lunghe - e ci trasferivamo tutti là: papà, mio fratello Giorgio, nonna Ebe, nonno Pietro (non per tutti e 4 i mesi) e la mamma che faceva il suo mese in agosto e il resto delle vacanze ci raggiungeva il sabato pomeriggio per poi tornare a Milano la domenica sera. La casa era grande e si ospitavano anche zii e amici. La casa era l'ultima del paese, abbarbicata sul pendio della montagna, tanto che non vi arrivava nemmeno la strada, ma solo la mulattiera che poi dalla nostra casa in poi si trasformava nel sentiero che saliva sul monte. Proprio dietro la casa c'era uno dei due lavatoi del paese, quello a monte. Un'altro era a valle del paese. Il lavatoio era bello, tutto in pietra, addossato al monte, con una bocca che buttava acqua gelida nella vasca sottostante. C'erano due vasche, la prima che doveva essere lasciata sempre pulita per gli animali o per chi prendeva acqua da bere, poi, dalla seconda vasca iniziavano i  piani inclinati per lavare i panni.
Un vecchio lavatoio simile a quello di Carenno
Durante le mattine sonnacchiose d'estate venivamo spesso risvegliati dal chiacchiericcio un po' aspro del dialetto bergamasco delle donne al fontanile, dalle loro risate e dal rumore delle lenzuola sbattute sulla pietra. Per me era un richiamo straordinario e, se non c'erano in programma gite in montagna, giochi particolari o compiti da fare, dopo colazione,  mi facevo dare dalla nonna i panni da lavare e, con la mia cesta e il mio sapone e la spazzola, me ne andavo al fontanile. Osservavo quelle donne e le imitavo: le vedevo arrivare, sinuose, ancheggianti sotto il peso delle ceste tenute sulla testa, appoggiarle a terra e, se non c'era posto al lavatoio, attendere, appoggiate al muro e chiacchierare a voce alta con la altre donne. A volte parlavano e non le capivo e ora mi rendo conto che usavano il dialetto per non far capire a me, bambina, alcuni loro discorsi.
Io lavavo e rilavavo sempre le stesse cose, copiavo i loro gesti, spazzolavo quei fazzoletti fino a renderli lisi. Passavo al lavatoio quasi tutta la mattina. Doveva venirmi a prendere mia nonna quando era pronto il pranzo. Passavo tutta la mattina a lavare e rilavare gli stessi fazzoletti, le stesse magliette, gli stessi canovacci. Spiavo sottecchi i gesti della vicina e li copiavo: lei sbatteva sulla grigia pietra il suo lenzuolo e io sbattevo il mio canovaccio, lei strofinava con le dita una macchia resistente e io facevo altrettanto, lei spazzolava con la "brusca" (la spazzola di saggina) i colletti delle camicie e io spazzolavo i fazzoletti, lei guardava contro il sole i canovacci per vedere se le macchie erano proprio andate via e io facevo altrettanto con le mie mutandine.
Quanto devono essersi divertite quelle donne nel vedermi imitarle così! Ma io adoravo sentirmi donna in mezzo alle altre donne, fare le loro stesse cose, usare gli stessi loro strumenti, la grande spazzola di saggina che a stento stava nelle mie piccole mani e il grosso pezzo di sapone di marsiglia che mi scivolava spesso in fondo alla torbida acqua del lavatoio e che ridendo le donne mi raccoglievano, stendere al sole sull'erba per sbiancarsi i miei fazzoletti e i miei strofinacci accanto alle loro grandi lenzuola, avere le mie mani rosse per l'acqua gelida come erano rosse le loro. Il duro lavoro mi nobilitava e quando rientravo a casa con il mio cesto di biancheria lavata non ero più "l'ultima ruota del carro" come solevano chiamarmi.
L'atteggiamento bonario e ironico di quelle donne nei miei confronti mi ha però creato anche alcuni turbamenti. Come probabilmente saprete (o forse no?) una volta non c'erano gli assorbenti usa e getta e si usavano dei pannicelli di spugna fatti in casa con vecchi asciugamani o, per chi poteva permetterselo, acquistati, che poi si lavavano e venivano riusati. Quindi al lavatoio quasi tutti i giorni c'era qualche donna che lavava questi pannicelli insanguinati. Ovviamente si mettevano nell'ultima posizione del corso dell'acqua, prima della fine del lavatoio, e si facevano obbligo di raccontare le cause di tutto quel sangue: una volta era il marito che era caduto dall'albero, una'altra volta era il figlio che si era tagliato con la sega mentre tagliava la legna, un'altra era il suocero che si era infortunato con la falce tagliando l'erba... Io rimanevo allibita e spaventata da tutti quegli incidenti e da tutto quel sangue e mi dicevo: per fortuna che noi abitiamo in città! 
Siamo tornati con mio fratello Giorgio una quindicina di anni fa a Carenno per passare un Week End con il camper. Siamo andati a vedere la casa ed il lavatoio. Tutto era uguale come nei miei ricordi, solo più piccolo. Il lavatoio era deserto: ora non risuoneranno più le chiacchiere e le risate delle donne di prima mattina, rimarrà un cimelio e tra qualche anno qualcuno si domanderà a cosa servissero quelle pietre inclinate... Incredibile comunque, la parte del paese verso il monte non è quasi cambiato da allora, e la mulattiera che conduce alla casa è rimasta uguale, con le stesse pietre che riconoscevo quasi ad una ad una, lucide dall'usura, la casa, intonacata di recente aveva la stessa struttura, lo stesso giardino e, ci giurerei, la stessa pianta di ribes che ci faceva fare ogni anno al nostro arrivo gli ultimi metri di mulattiera di corsa per giungere tra me e mio fratello per primi e aggiudicarci i migliori grappolini di frutti gustosi. Una volta i frutti dei ribes non erano venduti dai fruttivendoli come ora e il sapore del ribes rimarrà sempre per me il sapore delle vacanze. In ricordo di quel ribes la scorsa primavera  ne ho comperato una piantina che ho piantato nel giardino della nostra casetta in montagna e chissà se quei frutti, quando e se cresceranno, avranno lo stesso sapore...
Ho ritrovato ora su Google Maps l'immagine della casa di Carenno: è quella a destra in alto, a ridosso del monte, ma ora è stata ampliata verso la mulattiera. Prima era più piccola. Chissà se dietro la casa c'è ancora il lavatoio...

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